Attività bancaria globale: un male per i “campioni nazionali”?
Si è parlato molto ultimamente dei tagli fatti dalla banca d’investimento Barclays. In generale, il processo è stato definito come un cambiamento del piano industriale, volto a ridurre la concentrazione nei settori del reddito fisso, delle commodity e dei derivati a favore di un modello più tradizionale e a uso meno intensivo del capitale. Per noi l’aspetto importante è che si tratta di un evento non idiosincratico, ma inquadrato in una tendenza.
Barclays, come RBS, UBS e Credit Suisse, ha deciso di fare dietrofront rispetto alla propria ambizione pre-crisi di essere un attore dominante nel mercato del reddito fisso globale. Dal punto di vista puramente opportunistico, sembra una decisione strana, dato che l’enorme incremento del debito governativo e societario in essere costituisce un’opportunità potenzialmente immensa. Ma allora qual è il motivo di questa ritirata?
Come qualsiasi società che abbandona una linea di attività, presumibilmente Barclays ritiene che sia già o che diventerà meno redditizia. A dispetto dell’espansione dei mercati obbligazionari, le banche fanno più fatica a generare guadagni, a causa di un cambiamento a livello del costo del capitale. Di fatto, le autorità di regolamentazione hanno ridotto la capacità delle banche di fare profitti, imponendo limiti al rapporto di indebitamento che sono certamente utili dal punto di vista degli obbligazionisti, ma aumentano i costi effettivi riducendo la redditività.
Va detto, però, che questa tendenza del settore bancario ha un sapore tutto europeo: a ridimensionare le proprie ambizioni sono tutte banche non statunitensi. Ma qual è il motivo della differenza fra le due sponde dell’Atlantico, considerando che entrambi i blocchi economici hanno affrontato un maggior rigore delle regole e dei requisiti di capitale? Siamo convinti che le banche nordamericane abbiano un vantaggio naturale rispetto alle controparti costituite dalle banche d’investimento “estere”, che si articola su tre fronti.
Innanzitutto, operano sul mercato dei capitali più grande del mondo, il che assicura notevoli economie di scala rispetto a quelle di cui godono i “campioni nazionali” nei rispettivi mercati domestici, molto più piccoli per dimensioni.
In secondo luogo, anche mettendo a confronto il grande mercato dei capitali statunitense con il secondo mercato dei capitali per dimensioni in euro, gli attori europei hanno uno svantaggio: l’euro è un mercato unico, ma le banche sono regolamentate su base nazionale. Sono tutte di grandi dimensioni in rapporto alle rispettive economie nazionali e questo rende piuttosto nervose le autorità di vigilanza locali, che impongono agli istituti soggetti al loro controllo requisiti più elevati in termini di capitale, leva finanziaria e cuscinetti per l’assorbimento delle perdite sui crediti. Questo non è un problema così rilevante negli Stati Uniti, dove l’area geografica regolamentata e la valuta coincidono per una percentuale decisamente più ampia delle attività bancarie. Di conseguenza, l’autorità di vigilanza statunitense può essere più rilassata riguardo alla presenza di banche di dimensioni notevoli.
Il terzo aspetto è che la globalizzazione sta accentuando il dominio delle grandi società statunitensi non bancarie, in virtù delle loro capacità di innovazione o delle economie di scala naturalmente raggiungibili negli Stati Uniti. L’abbiamo visto, nel corso dell’ultimo anno, con Vodafone che ha ceduto la telefonia mobile a Verizon, Liberty Global che ha acquistato Virgin Media e il tentativo di Pfizer di assumere il controllo di AstraZeneca. Per le imprese statunitensi è naturale lavorare con le banche nazionali e lo sviluppo di grandi società con ampie esigenze di finanziamento implica il bisogno di un mercato dei capitali di grandi dimensioni. Tutti questi elementi puntano a un aumento esponenziale delle dimensioni relative dei mercati dei capitali statunitensi. Questo è uno dei fattori trainanti della crescita relativa dei mercati obbligazionari investment grade europeo e statunitense, come illustrato dal grafico qui sotto.
Le ridotte ambizioni di Barclays si inseriscono in una tendenza del settore bancario. Nello stesso segmento, abbiamo visto questo tipo di movimenti anche in passato, quando i vertici degli istituti bancari si sono mossi insieme nella stessa direzione. La lezione che possiamo trarre dai movimenti recenti è che la globalizzazione non solo cambierà la faccia dell’economia mondiale, ma favorirà anche quelle nazioni che, oltre ad essere efficienti e innovative, dispongono dei mercati nazionali più grandi ed efficienti, che favoriscono le economie di scala. Per le società quotate negli Stati Uniti è una buona notizia, mentre per il resto del mondo potrebbe diventare un problema.
Il valore e il reddito degli asset del fondo potrebbero diminuire così come aumentare, determinando movimenti al rialzo o al ribasso del valore dell’investimento. Possibile che non si riesca a recuperare l’importo iniziale investito. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.
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