La risposta della Spagna alla recessione: l’ora del cambiamento
In Spagna è l’ora del cambiamento, o almeno potrebbe esserlo. E non parlo dei timidi segnali di ripresa economica, testimoniati dal recente ritocco al rialzo delle previsioni di crescita del Paese, dallo 0,5% allo 0,7%: mi riferisco proprio al possibile cambio di fuso orario nella penisola iberica. A fine settembre, una commissione parlamentare ha diffuso un rapporto favorevole allo spostamento degli orologi spagnoli indietro di un’ora. La tesi sostenuta è che la collocazione nel fuso orario sbagliato ha avuto conseguenze negative sulle abitudini alimentari, di sonno e di lavoro, quindi questa misura correttiva potrebbe migliorare non solo la salute pubblica, ma anche la produttività economica. È interessante notare che la Spagna non è sempre stata nella zona oraria attuale: le lancette furono spostate un’ora avanti nel 1940, per ordine del Generale Franco desideroso di allinearsi alla Germania e all’Italia, i suoi alleati del blocco fascista. E se la commissione avesse ragione? Ha senso per la Spagna tornare al fuso orario che aveva prima della guerra?
Diamo un’occhiata alle zone orarie nell’Unione europea. Lasciando da parte i territori d’oltremare, i Paesi membri dell’UE usano tre fusi orari: uno per l’Europa occidentale (in sigla WET, UTC+00:00, dove UTC sta per tempo coordinato universale), uno per l’Europa centrale (CET, UTC+01:00) e uno per l’Europa orientale (EET, UTC+02:00), più le rispettive varianti di ora legale. Per quello che ci interessa, contano solo le differenze di orario tra i Paesi, quindi per semplificare ignoreremo l’ora legale, che comunque viene adottata simultaneamente da tutti gli stati membri dell’UE. I Paesi con il fuso orario dell’Europa occidentale sono solo tre: Portogallo, Irlanda e Regno Unito. Nella zona EET (Europa orientale) sono inclusi i Paesi baltici, più Finlandia, Romania, Bulgaria, Grecia e Cipro. La Spagna, escluse le Canarie, si trova nella zona CET (Europa centrale), insieme al resto dei Paesi dell’UE.
Per stabilire su base geografica se la Spagna sia collocata nella zona oraria sbagliata oppure no, ho controllato la posizione di alcune delle principali città spagnole ed europee che usano il fuso orario WET o CET. Per ognuna ho calcolato lo scostamento, in gradi di longitudine, fra la posizione effettiva e l’asse centrale della rispettiva zona oraria, ossia il meridiano zero (o di Greenwich) per la WET e il 15° meridiano est per la CET.
Fra le città europee considerate, ordinate da ovest a est, quelle spagnole (in verde chiaro) mostrano i livelli più alti di scostamento dalla collocazione corretta. In particolare Vigo, che si trova nella provincia autonoma nord-occidentale della Galizia, è “sfasata” di ben 24 gradi. Oltre alla Spagna, anche la Francia ha diverse città della regione occidentale, come Bordeaux, con uno scostamento decisamente marcato. Le città dell’Europa occidentale incluse nella zona WET (contrassegnate con un asterisco), come Lisbona, Dublino e Londra, sono molto meno sfasate, dato che il loro asse di riferimento è il meridiano di Greenwich e non il 15° meridiano est. A voler essere precisi, solo le città a est dei Paesi del Benelux, quindi da Roma in poi nel grafico, rientrano geograficamente nella zona CET. Per contro, la Spagna appartiene chiaramente alla zona WET. Restare nel fuso CET provoca uno sfasamento permanente fra l’orario ufficiale e l’ora solare effettivamente percepita. Ma perché la Spagna non è passata al fuso dell’Europa occidentale tanto tempo fa?
In parte perché alcuni effetti di questo sfasamento sono considerati positivi: un’ora in più di sole la sera, ad esempio, potrebbe favorire il turismo in Spagna. Un altro aspetto da considerare è l’effetto che il cambiamento dalla zona CET alla WET potrebbe avere sulle attività transfrontaliere: è plausibile immaginare che l’adozione del fuso orario occidentale complicherebbe i contatti con i Paesi dell’Europa centrale. Nelle attività quotidiane, la differenza degli orari di lavoro e di contrattazione rischia di far aumentare i costi di transazione e anche gli scambi con i paesi dell’est europeo potrebbero risentire di un’ulteriore ora di scarto. D’altra parte, con ogni probabilità i contatti con i Paesi della zona WET sarebbero favoriti dal cambiamento. Per quantificare gli effetti negativi, ho raggruppato per zone orarie le esportazioni e le importazioni della Spagna all’interno dell’UE negli ultimi cinque anni. Per semplicità, non ho incluso il commercio estero al di fuori dell’UE: la Spagna ha già una differenza di fuso orario notevole rispetto a partner commerciali di rilievo come la Cina e gli Stati Uniti, quindi lo spostamento di un’ora avrebbe un impatto trascurabile.
Negli ultimi cinque anni la composizione delle esportazioni e importazioni spagnole all’interno dell’UE per zona oraria è rimasta sostanzialmente stabile. I Paesi della zona EET sono solo mercati di nicchia per l’import-export spagnolo. Entrambe le componenti della bilancia commerciale sono chiaramente dominate dagli scambi con i Paesi dell’Europa centrale (72-74% delle esportazioni e 80-81% delle importazioni). Le operazioni di esportazione e importazione con i Paesi della zona WET rappresentano, rispettivamente, solo il 22-24% e il 16-18% del totale. Il passaggio dall’orario CET al WET sembra quindi a rischio di rendere più difficoltosa la parte ampiamente preponderante dell’attività commerciale spagnola con gli altri Paesi dell’UE.
Ma esiste un modo per ridurre questo rischio e consentire comunque alla Spagna di adottare il fuso dell’Europa occidentale? Beh, un’idea ce l’avrei. La Spagna potrebbe lanciare una campagna di pressioni per convincere la Francia e i Paesi del Benelux a spostarsi tutti insieme nella zona WET. Come illustrato dal grafico 1, per diverse città di queste nazioni, in particolare della Francia occidentale, dal punto di vista geografico sarebbe molto più logico adottare il fuso WET. E bisogna considerare anche l’aspetto politico: il fuso dell’Europa centrale è stato introdotto con la forza in questi Paesi durante l’occupazione tedesca, ai tempi della Seconda guerra mondiale. Di conseguenza, l’adozione dell’ora di Londra si potrebbe presentare all’elettorato coinvolto come una misura tardiva per cancellare le vestigia dell’aggressione fascista nell’Europa occidentale – e chi mai potrebbe opporsi a un progetto tanto nobile? Lo spostamento su larga scala di diversi Paesi europei di rilievo dalla zona CET alla WET avrebbe conseguenze notevoli per la composizione delle esportazioni e importazioni spagnole in ambito UE, oltre che per l’equilibrio del potere economico nell’Unione in generale. Il grafico 3 mette a confronto la ripartizione percentuale effettiva delle esportazioni e importazioni spagnole all’interno dell’UE e del PIL dell’UE per zona oraria nel 2012, con uno scenario ipotetico per lo stesso anno in cui Spagna, Francia e Paesi del Benelux sono collocati nella zona WET.
Come accennato sopra, i Paesi della zona CET attualmente contano molto di più di quelli appartenenti alla zona WET per le esportazioni e importazioni spagnole in ambito UE. Tuttavia, se anche altri Stati importanti dell’Europa occidentale si spostassero insieme alla Spagna nella zona WET, questo rapporto sarebbe invertito, come mostra lo scenario teorico. In questo caso, i Paesi WET sarebbero destinatari del 58% delle esportazioni spagnole nell’UE e fornirebbero alla Spagna il 53% delle importazioni provenienti dall’Unione. Anche il peso economico delle zone CET e WET all’interno dell’UE cambierebbe drasticamente: la quota del PIL totale dell’UE riconducibile all’area WET aumenterebbe dal 17% al 49%, mentre quella dei Paesi CET scenderebbe di conseguenza dal 78% al 46%.
In conclusione, dal punto di vista geografico, sarebbe logico per la Spagna passare dal fuso CET al WET. Tuttavia, per tutelarsi dai possibili effetti collaterali negativi sulle sue attività transfrontaliere, la Spagna dovrebbe premere il più possibile per convincere la Francia e i paesi del Benelux a compiere lo stesso passo. Se ci riuscisse, anche il Portogallo, l’Irlanda e il Regno Unito ne trarrebbero vantaggio.
Se poi pensate che la Spagna abbia problemi di puntualità, provate a immaginare cosa succede in India o in Cina. L’ora standard indiana (Indian Standard Time), in vigore in tutta l’India e nello Sri Lanka, sembra fatta apposta per confondere il resto del mondo, essendo 5 ore e mezzo avanti all’ora di Londra. La zona oraria copre oltre 28 gradi di longitudine, quindi nell’India orientale il sole sorge due ore prima che nella regione occidentale del Paese. Da parte sua, la Cina ha una sola zona oraria ufficiale che si estende per oltre 60 gradi di longitudine (i 48 stati contigui degli USA occupano 25 gradi di longitudine) e, sebbene il problema sia mitigato dal fatto che la maggior parte della popolazione cinese vive sulla costa orientale, nella città occidentale di Kashgar si può vedere l’alba addirittura alle 10:17 del mattino!
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