Mettere un freno ai flussi esteri nel mercato immobiliare britannico potrebbe essere un suicidio per la sterlina
Dunque ora sappiamo cosa intende fare la Banca d’Inghilterra per il mercato immobiliare britannico, che il governatore Carney ha definito in precedenza il rischio più grande per la stabilità finanziaria e, quindi, per l’espansione economica (Fondo monetario internazionale e Commissione europea hanno lanciato allarmi analoghi). La risposta, in due parole, è “non molto”, al momento: per quanto Carney non sia “contento” del mercato immobiliare effervescente nel Regno Unito, è disposto a “tollerarlo”.
Prima di interrogarsi su cosa fare – e cosa non fare – riguardo al mercato immobiliare, vale la pena di chiedersi se il mercato immobiliare britannico sia in una situazione di bolla. Non è una domanda così folle come potrebbe sembrare: in termini reali (ossia tenendo conto dell’inflazione), i prezzi delle case in Regno Unito sono aumentati solo dell’1,25 l’anno fra il 1974 e la fine del 2013 e del 2,2% l’anno dal 1974 alla fine del 2007. È stato all’inizio dei Duemila che la situazione è sfuggita di mano, quando i prezzi reali delle case in Gran Bretagna hanno visto rendimenti a doppia cifra per quattro anni consecutivi, dal 2001 al 2004, ma se escludiamo questo periodo, la crescita dei prezzi immobiliari reali di fatto è stata negativa negli ultimi quattro decenni*. Anche volendo includere il quadriennio 2001-2004, se pensiamo che la crescita della produttività nel Regno Unito da metà degli anni Settanta è stata in media pari a circa l’1% per anno e che la popolazione britannica è cresciuta in media dello 0,3% per anno in questo periodo, il modesto incremento reale dei prezzi delle abitazioni non sembra particolarmente allarmante.
Ciò detto, le variazioni di prezzo medie su 40 anni non raccontano tutta la storia. La performance del mercato immobiliare nell’ultimo anno è notevole: i prezzi delle abitazioni in Regno Unito sono aumentati dell’11,1% in termini nominali nell’anno fino a maggio, secondo Nationwide, e pur non essendo neanche paragonabile agli anni di bolla 2001-04, è comunque il ritmo più rapido registrato da allora. Nel frattempo i dati ONS mostrano che i prezzi nominali delle case a Londra hanno registrato un’impennata del 18,7% nell’anno fino ad aprile. Questi tassi di crescita sono ampiamente superiori all’inflazione e anche all’aumento dei salari.
Cosa sta provocando il balzo in avanti recente dei prezzi delle case? Per definizione, la risposta è un eccesso di domanda a fronte di una carenza di offerta, anche se quasi tutti i commenti sul mercato immobiliare britannico sembrano concentrarsi sul secondo elemento dell’equazione, anziché sul primo. Il dibattito pubblico sul settore immobiliare del Regno Unito è stato fortemente influenzato dall’analisi dell’offerta abitativa commissionata nel 2004 dal governo all’allora membro del Comitato di politica monetaria (MPC) Kate Barker: nel suo rapporto, Barker ha infatti sostenuto che “la tendenza al rialzo di lungo termine dei prezzi delle case e i recenti problemi di accessibilità sono le manifestazioni più chiare di una carenza di abitazioni nel Regno Unito”, da cui la necessità di costruire fino a 260.000 nuove case l’anno per soddisfare la domanda. Nel decennio trascorso dalla pubblicazione del rapporto, il numero di nuove costruzioni è stato inferiore alla metà della cifra indicata, il che suggerisce l’accumulo di un deficit pari a 1 milione di case.
Ma l’impennata dei prezzi dipende davvero solo da un’offerta carente? Come ha sottolineato Fathom Consulting, se c’è una carenza di abitazioni perché i costi di affitto reali non sono balzati verso l’alto? Il grafico riportato sotto mostra la crescita dei salari nominali a fronte dei costi di affitto nel Regno Unito andando fino al 2001: i costi di affitto in realtà sono cresciuti a un ritmo più lento rispetto ai salari fino al 2008 e solo più di recente hanno iniziato a correre un po’ più delle remunerazioni. Se ci fosse un’offerta insufficiente, ci aspetteremmo di vedere un incremento piuttosto marcato dei costi di affitto reali, man mano che le persone sono costrette a spendere di più per l’alloggio in percentuale del reddito, ma non è questo il caso.
Il prossimo grafico suggerisce una maggiore probabilità che l’aumento dei prezzi delle case iniziato l’anno scorso sia dipeso in realtà (come sempre) soprattutto dalla domanda, ossia dai tassi ipotecari più bassi e dall’accesso facile ai mutui. Il grafico a sinistra è tratto dal recente Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d’Inghilterra e mostra il rapporto tra entità del prestito e reddito dei nuovi mutui concessi per l’acquisto dell’abitazione. Circa il 10% dei nuovi richiedenti oggi ottiene un mutuo per un importo pari o superiore a 4,5 volte il proprio reddito. Oltre la metà degli acquirenti di abitazioni deve chiedere un prestito più che triplo rispetto al proprio reddito, il che equivale a un rapporto rata/reddito superiore di circa 5 volte a quello riscontrato subito prima del crollo del mercato immobiliare britannico di inizio anni Novanta. Colpisce la stretta correlazione fra i rapporti rata/reddito (grafico a sinistra) e i prezzi delle abitazioni (grafico a destra). Se ne potrebbe dedurre che limitando il rapporto fra debito e reddito si riuscirebbe a limitare anche la corsa dei prezzi delle case, sebbene la correlazione non implichi necessariamente un nesso causale. È ipotizzabile che un balzo in avanti dei prezzi costringa gli acquirenti ad assumere debiti maggiori, dato che solo così possono compiere il primo passo nel mercato immobiliare**.
L’altra fonte di domanda crescente di immobili nel Regno Unito probabilmente è costituita dagli investitori esteri. Quando la sterlina è crollata dopo la crisi del 2008, il presupposto era che il Regno Unito avrebbe visto una ripresa trainata dalle esportazioni, grazie all’enorme guadagno di competitività. Sfortunatamente non è andata proprio così, perché i servizi finanziari, principale componente dell’export britannico, non sono stati molto richiesti all’indomani della crisi. Le esportazioni del Regno Unito effettivamente hanno registrato un aumento all’inizio, ma oggi superano di solo il 10% il picco raggiunto nel 2008 e hanno mostrato movimenti laterali fin dal 2011. Per contro, le esportazioni spagnole superano di quasi il 30% i livelli del 2008 in termini di euro, nonostante il rafforzamento della moneta unica contro la sterlina nel corso del periodo.
Il deprezzamento della sterlina forse non si è tradotto in un’impennata delle esportazioni di beni e servizi britannici, ma sembra aver generato un incremento di un nuovo tipo di esportazione: il patrimonio immobiliare di Londra. L’agenzia immobiliare Savills stima che i capitali esteri confluiti nei soli immobili residenziali di massimo pregio a Londra hanno superato i 7 miliardi di sterline nel 2012 e presumibilmente sono stati ancora di più nel 2013. Gli acquirenti stranieri sono sempre stati attratti da Londra, grazie al mercato immobiliare trasparente e liquido e a fattori quali la stabilità politica e la chiarezza delle normative, un sistema di istruzione dignitoso e una tassazione bassa rispetto a Paesi come Francia e Spagna, ma nel 2012 gli afflussi sono stati doppi in confronto all’entità del 2008 o del 2009 e superiori di quasi un terzo a quelli del 2006.
Dal grafico qui sotto si capisce bene il motivo di questa passione degli stranieri per le proprietà in terra britannica. Le case in Regno Unito sono tutt’altro che a buon mercato, in termini di valuta locale, ma risultano decisamente più abbordabili dal punto di vista di tutti gli acquirenti esteri tradizionali, fatta eccezione per i russi. Dalla prospettiva di un investitore cinese, i prezzi delle abitazioni a Londra sono ancora inferiori del 17,5% ai massimi del 2007, se misurati in yuan cinesi.
La strategia della Banca d’Inghilterra per ridurre la domanda interna di immobili residenziali nel Regno Unito attraverso misure macroprudenziali, come la fissazione di un tetto per il rapporto rata/reddito, dovrebbe essere la strada maestra per affrontare gli effetti destabilizzanti dell’indebitamento legato all’acquisto di abitazioni; e la BoE avrebbe certamente dovuto fare di più. Mettere un freno ai flussi esteri verso il mercato immobiliare britannico è un’opzione molto più attraente, sotto il profilo politico, ma potenzialmente molto meno saggia.
I dati della settimana scorsa hanno evidenziato un lieve miglioramento del deficit dei conti correnti del Regno Unito nel primo trimestre del 2014, ma il quarto e terzo trimestre del 2013 avevano visto revisioni al ribasso, rispettivamente al 5,7% e al 5,9% del PIL, un nuovo record preoccupante. Fra i Paesi emergenti definiti i “Cinque fragili”, solo la Turchia aveva un deficit più pesante nel quarto trimestre.
Un saldo negativo dei conti con l’estero è un parametro in senso ampio della bilancia commerciale di un Paese. Il pesante deficit del Regno Unito è attribuibile a vari fattori (tra cui il disavanzo commerciale sostenuto, un saldo dei redditi da capitale in deterioramento, che potrebbe in parte riflettere l’aumento delle acquisizioni di aziende britanniche da parte di società estere, e deficit di bilancio prolungati), ma in generale, un deficit cronico dei conti correnti è sintomo di problemi di competitività. Il grafico sotto mostra che per il Regno Unito un saldo dei conti con l’estero di notevoli dimensioni e in deterioramento storicamente ha preceduto una crisi della sterlina, in cui un brusco deprezzamento della valuta ha ridato competitività al Paese e quindi risollevato le sorti delle partite correnti. Considerando che quando gli stranieri comprano nuove abitazioni a Londra l’effetto sui conti con l’estero non è molto diverso rispetto a quando comprano massicce quantità di Scotch Whiskey, la proposta di tassare gli acquisti di immobili londinesi da parte degli stranieri equivale a mettere una tassa sulle esportazioni britanniche! Non proprio una mossa intelligente, con il saldo dei conti correnti in condizioni così precarie. Si noti che tassare le esportazioni è molto peggio del protezionismo, che in genere implica l’applicazione di tasse sulle importazioni.
I controlli macroprudenziali sono una misura positiva e dovrebbero contribuire a limitare alcuni eccessi nella concessione di mutui a livello locale, che si sono accumulati negli ultimi due anni circa. Tuttavia, chi addita i fattori sul lato dell’offerta come principali responsabili dell’aumento dei prezzi non vede il quadro generale. Gli immobili nel Regno Unito sono a buon mercato, dal punto di vista degli stranieri, e probabilmente continueranno ad essere richiesti dagli acquirenti esteri a caccia di rendite solide in un mondo di rendimenti bassi. E attenzione a invocare interventi volti a mettere un freno agli afflussi esteri nel mercato immobiliare britannico, che sta diventando una delle componenti più richieste dell’export nazionale. Certo, se le misure macroprudenziali non riescono a ridurre in qualche misura il surriscaldamento del mercato, la Banca d’Inghilterra può sempre aumentare i tassi d’interesse (se riesce a ricordarsi come si fa…)
*Calcolato usando l’indice dei prezzi al dettaglio (RPI) del Regno Unito e l’indice dei prezzi delle abitazioni Nationwide (UK Nationwide House Price Index). Entrambi presentano criticità metodologiche, pertanto è bene considerare il calcolo con una certa cautela: ad esempio, l’indice RPI è risultato in media superiore dello 0,9% all’indice IPC del Regno Unito nel 1989, quindi bisognerebbe aggiungere uno 0,9% per anno all’aumento dei prezzi reali delle abitazioni, considerati su base IPC.
**L’aumento recente dei prezzi delle abitazioni e del rapporto rata/reddito per gli acquirenti di prima casa probabilmente è riconducibile al piano di aiuti all’acquisto denominato “Help to buy” (o “help to sell” – aiuto alla vendita – come l’abbiamo chiamato noi all’epoca); tuttavia, a fine maggio erano solo 7313 le abitazioni vendute nell’ambito di questo programma, con un valore totale dei mutui agevolati da tale misura pari a 1 miliardo di sterline, quindi ci sono chiaramente altre forze in gioco.
Il valore e il reddito degli asset del fondo potrebbero diminuire così come aumentare, determinando movimenti al rialzo o al ribasso del valore dell’investimento. Possibile che non si riesca a recuperare l’importo iniziale investito. Le performance passate non sono indicative dei risultati futuri.
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