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6/05/24

Ci sono forti aspettative che il presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Mario Draghi annunci ulteriori misure di espansione durante la prossima riunione sulla politica monetaria, che si terrà giovedì di questa settimana. Se la BCE deciderà di adottare nuove misure di stimolo tramite un allentamento quantitativo esteso (o allargato) e/o di ridurre ulteriormente il suo tasso di deposito negativo, la Banca Nazionale Svizzera (BNS) avrà qualche considerazione da fare. Probabilmente non sono l’unico svizzero preoccupato dal fatto che il suo Paese debba far fronte a una deflazione di -1,4% e che stia faticando a mantenere il suo tasso di cambio a un livello competitivo. Da quando la BNS ha posto fine all’ancoraggio di 1,20 del franco svizzero all’euro, a gennaio di quest’anno, il brusco apprezzamento della valuta “rifugio” è stato inevitabile. Il tasso di cambio EUR/CHF è ora un po’ inferiore a 1,10, ancora elevato per il franco se si considera una parità di potere di acquisto di circa 1,25 EUR/CHF. Le conseguenze di questa realtà sono messe in luce dalla stampa svizzera locale, con la pubblicazione di un’altra impresa tradizionale appena andata a gambe all’aria a causa del franco forte. Non si tratta di un caso isolato e non sorprende, visto che l’Europa è il primo partner commerciale della Svizzera con circa metà delle esportazioni svizzere verso l’Eurozona. Con una simile dipendenza, se la BCE riduce il suo tasso di deposito, ci si aspetta ovviamente che la BNS faccia altrettanto e che tagli ulteriormente il suo tasso già negativo di 0,75% sui bilanci dei conti deposito a vista per banche e altri attori dei mercati finanziari. A mio avviso, tuttavia, dobbiamo prendere in considerazione i seguenti punti in quanto rendono una mossa da parte della BNS molto meno probabile:

Ricordiamoci la crisi bancaria

In passato la Svizzera ha avuto problemi per via di fasi eccessivamente prolungate di standard di prestito troppo accomodanti. L’ultimo scenario che torna alla mente è quello della crisi bancaria degli anni novanta, periodo in cui il prestito creditizio aumentò in modo significativo per gli standard storici, specialmente se paragonato all’attività finanziaria. Una crisi bancaria è sentita in modo molto più acuto in Svizzera rispetto ad altri Paesi per via delle dimensioni del suo settore bancario. Circa 275 banche hanno status giuridico in Svizzera e il settore contribuisce con circa il 6% al PIL svizzero (includendo il settore assicurativo questa percentuale sale a oltre il 10%). È importante notare che le banche regionali in particolare poggiano fortemente sulla loro attività di margine di interesse. La BNS ha comunicato più di una volta nel suo rapporto di stabilità finanziaria che le banche con un focus sul proprio mercato interno potrebbero presentare una diversificazione troppo ridotta e di un rischio di interesse troppo elevato sui loro bilanci. L’ultimo di questi rapporti indica che il rischio tasso di interesse diretto nei portafogli bancari incentrati sul mercato interno è a un livello elevato, per via di uno sfasamento tra le scadenze di attività e passività. I tassi di deposito meno elevati rendono anche più allettante per le banche elargire prestiti di riserve in eccesso a spread relativamente accomodanti piuttosto che detenerle con la BNS a tassi negativi. Sulla base del rapporto della BNS menzionato in precedenza, nel 2014, per 42% di nuovi mutui garantiti da banche incentrate sul mercato interno, i costi imputati supererebbero il limite generale di un terzo del salario lordo o del reddito pensionistico. Ciò, assieme a una proporzione molto elevata di prestiti che risentirebbero nel breve o medio termine di un eventuale aumento dei tassi, indica la presenza di un rischio di sostenibilità nel mercato ipotecario svizzero. Un tasso di deposito troppo basso potrebbe incoraggiare un indebitamento del settore privato sempre più elevato e incrementare la possibilità di un’altra crisi bancaria, una considerazione di cui la BNS è ben consapevole.

Le banche stanno iniziando a trasmettere l’interesse negativo

Se da una parte le grandi banche svizzere hanno già introdotto una commissione di deposito individuale per bilanci di conto ingenti detenuti da clienti societari e istituzionali in reazione ai tassi di deposito negativi della BNS, le banche sono state finora restie a trasmettere i tassi negativi direttamente ai correntisti. Ciò potrebbe riflettere il timore di perdere clienti in un panorama competitivo. Tuttavia, questa tendenza potrebbe aver fine in quanto il contesto per le attività di margine di interesse si sta facendo sempre più complesso dato che i margini si sono decisamente ridotti. Di fatto, la Alternative Bank Schweiz è appena divenuta la prima banca svizzera ad annunciare tassi di interesse negativi di -0,125% sui suoi conti correnti per clienti individuali, a decorrere dal 1 gennaio 2016. Per risparmi superiori a 100.000 franchi svizzeri, la banca trasmetterà il tasso di interesse negativo totale di -0,75%. Ridurre i tassi di deposito ulteriormente potrebbe incentivare altre banche a fare lo stesso, il che potrebbe incoraggiare le persone a custodire il proprio denaro in una cassetta di sicurezza o altrove. Voi sareste felici di pagare commissioni mensili per un conto bancario che vi sta già imputando un tasso di interesse negativo allo stesso tempo? Come Richard ha scritto qui, custodire liquidità è rischioso per gli individui (il denaro non è assicurato e può essere rubato) e costoso per l’economia in quanto il denaro custodito sotto al materasso non può essere prestato. Neanche la grossa banconota svizzera da 1000 franchi svizzeri aiuta e anzi, rende ancora più facile custodire franchi svizzeri.

La BCE potrebbe ridurre i tassi, ma la Svizzera non dovrebbe fare altrettanto

L’euro è importante, ma…

…ci sono altre valute principali sui la BNS può concentrarsi. È vero che buona parte delle esportazioni svizzere è diretta verso l’Eurozona, ma un volume ancora più elevato è importato ogni anno dall’Europa. Se consideriamo le esportazioni nette (esportazioni-importazioni) i Paesi più importanti sono Cina, India e Stati Uniti. In seguito al tono aggressivo della Federal Reserve statunitense a ottobre, e al verbale recentemente pubblicato del FOMC, a conferma di questa posizione, le aspettative di mercato circa un aumento dei tassi USA a dicembre sono state sostenute da una spinta considerevole. Inoltre, il dollaro USA ha registrato un rally di oltre 7% rispetto al franco svizzero da metà ottobre, rendendo i prodotti svizzeri più economici per gli Stati Uniti. Come mostra il grafico, il biglietto verde è ora tornato al livello di quando la BNS ha abbandonato il suo ancoraggio valutario. Dato che il renminbi cinese è fortemente legato al dollaro statunitense, oscillazioni simili hanno generato un tasso di cambio CNY/CHF solo marginalmente inferiore rispetto a inizio anno, quando l’ancoraggio valutario svizzero era ancora vigente. Questa diminuzione considerevole del tasso di cambio CHF rispetto ai suoi partner commerciali principali sarà accolta con favore dalla BNS in quanto riduce la necessità di ulteriori stimoli.

La BCE potrebbe ridurre i tassi, ma la Svizzera non dovrebbe fare altrettanto

Ulteriori interventi di mercato più probabili di un taglio dei tassi

Guardando avanti e cercando di prevedere le prossime mosse della BNS, è opportuno notare che nonostante le avversità, l’economia svizzera ha dato prova di sorprendente resilienza con una crescita annuale ancora positiva. Credo che la crescita globale aiuterà la Svizzera a superare questa fase difficile in quanto essa riduce l’impatto di un franco svizzero sopravvalutato. I recenti declini del franco rispetto al dollaro statunitense e al renminbi cinese danno inoltre alle autorità svizzere più tempo e allentano parte delle pressioni sulla valutazione della divisa svizzera. Le dimensioni del bilancio della BNS sono spaventose dato l’intervento di mercato, con riserve estere che rappresentano oltre l’80% del PIL svizzero (per contestualizzare questo punto, le riserve estere del Regno Unito rappresentano circa il 6% del PIL britannico). Tuttavia, piuttosto che le dimensioni stesse, la diversificazione resta chiave in quanto la BNS non può coprire il rischio di cambio rispetto al franco svizzero senza neutralizzare l’impatto della sua politica monetaria. A mio avviso, la BNS ha fatto un buon lavoro negli ultimi difficili anni, riuscendo a diversificare la sua esposizione valutaria all’euro ripartendola su tutte le altre valute.

La BCE potrebbe ridurre i tassi, ma la Svizzera non dovrebbe fare altrettanto

Detto ciò, credo che la BNS possa intervenire e interverrà nel mercato se necessario, ma lo farà tramite un ulteriore acquisto di euro piuttosto che spingendo ulteriormente in territorio negativo il suo tasso di deposito. La seconda opzione esporrebbe in misura maggiore l’economia svizzera allo strumento di politica monetaria non consolidato e non convenzionale dei tassi di interesse negativi. Inoltre, non credo che un taglio ai tassi di deposito da parte della BCE a dicembre sia scontato. Ricordiamoci che la riunione di dicembre della BCE avrà luogo due settimane prima della decisione della Fed, e immagino che Mario Draghi voglia essere pronto ad agire nel caso in cui l’euro si apprezzasse rispetto al dollaro qualora la Fed decidesse, contrariamente alle aspettative di mercato, di mantenere invariati i tassi. Nel complesso, la fine dell’anno si preannuncia intensa per i banchieri centrali.

Collaboratore esterno, Jean-Paul Jaegers CFA (Senior Investment Strategist, Prudential Portfolio Management Group)

Un’asset class per la quale la stagionalità gioca un ruolo fondamentale è quella del reddito fisso indicizzato all’inflazione. Ciò ha senso, in quanto l’inflazione è la variabile macroeconomica sottostante e per sua stessa natura è fortemente stagionale. Ad esempio, le vendite dopo Halloween o i pacchetti vacanza tendono ad aver luogo in periodi regolari. Di conseguenza, la stagionalità diventa predittiva e offusca la tendenza sottostante. Pertanto, istituzioni quali gli uffici di statistica pubblicano serie adeguate stagionalmente per i prezzi al consumo (CPI).

Quando paragoniamo serie CPI adeguate stagionalmente a quelle adeguate non stagionalmente pubblicate dal Bureau of Labour Statistics statunitense e guardiamo al fattore stagionale medio che hanno applicato negli ultimi 10 e 15 anni, notiamo uno schema, come illustrato nel grafico seguente. Nella prima metà dell’anno i prezzi al consumo tendono a salire, mentre nella seconda metà dell’anno essi tendono a calare. Si tratta di uno schema fortemente persistente.

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È facile osservare uno schema nelle variabili macroeconomiche, ma l’elemento più cruciale è stabilire se esso abbia un impatto sui mercati finanziari. Gli investitori puramente razionali dovrebbero aspettarsi schemi stagionali e pertanto la stagionalità dovrebbe essere una strategia non redditizia. Per esempio, negli inflation swap la curva forward include fattori stagionali, pertanto aprire un inflation swap a dicembre e chiuderlo a giugno non si traduce in guadagni se l’inflazione segue il normale schema stagionale. Per prodotti a pronti ciò diventa un po’ più difficile in quanto non c’è una curva forward, ci sono flussi di cassa ritardati e c’è bisogno di arbitraggio in quanto ci sono due asset coinvolti.

Un modo di guardare ai prodotti a pronti consisterebbe nel guardare al tasso di breakeven implicito, ovvero il rendimento nominale di un titolo di Stato convenzionale meno il rendimento su un’obbligazione indicizzata all’inflazione della stessa scadenza, emessa dallo stesso governo. Il risultato è la compensazione di inflazione e un premio di rischio di inflazione implicito nei bond nominali. Pertanto, guardando a questo differenziale tra obbligazioni nominali e obbligazioni indicizzate all’inflazione possiamo avere un’idea di come si comporti la componente di inflazione scontata per le obbligazioni nominali. Di seguito possiamo osservare che nel periodo durante il quale l’inflazione tende “stagionalmente” a crescere, i breakeven impliciti tendono in media a salire anch’essi. Vediamo che i breakeven impliciti in media tendono a scendere in agosto, settembre e novembre, mesi che coincidono anche con il periodo in cui l’inflazione tende “stagionalmente” ad essere debole. Come argomento a parte, negli ultimi anni la BCE e la Fed  (http://www.federalreserve.gov/econresdata/notes/feds-notes/2014/residual-seasonality-in-core-consumer-price-inflation-20141014.html ) hanno anch’esse osservato che la stagionalità dei prezzi al consumo è divenuta più forte, in parte per via delle variazioni a livello di metodologia/misurazione.

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Perché questo fenomeno ha importanza?

Nel grafico seguente possiamo vedere che la compensazione dell’inflazione scontata (ovvero i breakeven impliciti) è al momento molto modesta, in quanto il consenso fatica a individuare un fattore catalizzante per l’inflazione, e date le dinamiche di offerta/domanda nel settore energetico, l’energia dovrebbe rimanere a livelli contenuti. Tuttavia, dobbiamo ricordare che il breakeven implicito include un premio di rischio per l’inflazione. Questo ovviamente varia nel tempo ed è estremamente difficile da misurare, ma gli accademici lo stimano tra i 40 e i 70 punti base. Pertanto, quando osserviamo 1,5% per i prossimi 10 anni, è probabilmente più prossimo a prezzare una compensazione di inflazione per un investitore pari a circa l’1% per i prossimi 10 anni. Inoltre, l’inflazione è un concetto di tasso di variazione, pertanto gli effetti base sono importanti ed emergono dopo un periodo di 12 mesi (ad esempio, affinché l’inflazione resti costante, i prezzi devono continuare a scendere/salire allo stesso ritmo nei 12 mesi precedenti). Dunque, con l’impatto favorevole di alcuni fattori stagionali nella prima metà dell’anno, in combinazione con l’emergere dell’effetto base dell’energia, potrebbe esserci la possibilità di un aumento dei breakeven.

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La repressione finanziaria da parte delle banche centrali ha spinto al ribasso i rendimenti reali (preferibilmente in territorio negativo per essere il più possibile efficace), ma con la normalizzazione dell’economia USA è molto probabile che i rendimenti reali possano restare agli attuali livelli o addirittura crescere leggermente a un passo misurato (altrimenti le condizioni diventerebbero troppo tese). Qui abbiamo visto un certo recupero dal fondo del 2012.

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Se la Federal Reserve aumenterà i tassi a dicembre, proprio quando gli effetti base dell’energia comincerebbero a non incidere più sulle cifre di inflazione (si paragoni l’inflazione complessiva allo 0,2% con l’inflazione di fondo all’1,9%), assieme al fatto che i breakeven impliciti tendono in media a salire nei primi mesi dell’anno per via degli aumenti stagionalmente più forti dei prezzi al consumo, ciò potrebbe potenzialmente rappresentare un elemento a sfavore per i Treasury nei prossimi sei mesi.

Mese: Dicembre 2015

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