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18/05/24

All’inizio di aprile ho scritto un articolo su alcune delle conseguenze indesiderate dei tassi d’interesse negativi stabiliti dalle banche centrali. Avevo anche promesso che avrei aggiornato il blog qualora avessi individuato implicazioni più interessanti, chiedendo ai lettori stessi di contribuire con alcuni esempi.  Grazie a coloro che mi hanno contattato.  Ecco dunque altre cose interessanti che accadono quando lo zero lower bound (ossia la situazione in cui i tassi nominali non possono scendere al di sotto dello zero) cessa di esistere, assieme ad alcuni link ad alcune considerazioni teoretiche sui tassi negativi.

  1. Nello scorso blog ci preoccupavamo che le banche non fossero in grado di scaricare i tassi negativi sui correntisti (temendo la fuga dei risparmi) e pertanto non fossero in grado di trasmettere tassi inferiori ai beneficiari dei prestiti, e quindi che i prestiti non avrebbero ricevuto stimoli.   Di fatto, anche se ciò resta complessivamente vero, abbiamo visto alcune dinamiche in movimento in questo ambito.  Il presidente della federazione tedesca delle Sparkassen, casse di risparmio, Georg Fahrenschon ha affermato che “l’era della gestione dei conti libera è finita” e i clienti commerciali pagheranno “tassi di interesse maggiorati”.  Tuttavia, i tassi delle famiglie rimarranno (per ora) invariati.  Le casse di risparmio tedesche sono finanziate al 74% da depositi non legati a Istituti di Micro-Finanza (MFI). (Fonte della storia: FAZ).  In Spagna, il giornale Cinco Dias segnala che le banche impongono ora un interesse dello 0,3% sui depositi per imprese di grosse dimensioni.
  2. L’amministratore delegato di UBS Sergio Ermotti ha affermato che l’ambiente di tassi negativi solleva la seguente domanda in tutta l’industria “vogliamo davvero prendere in carico gli asset dei clienti quando farlo costa denaro alla banca? E quando dobbiamo garantire gli asset liquidi con somme di capitali irragionevolmente ingenti?”  Ha anche affermato che la banca aveva stabilito alcuni tassi di prestito come conseguenza del costi dei tassi di deposito negativi.  (Fonte: WBP online)
  3. Le banche centrali dell’Eurozona guadagnano milioni di euro da depositi sui quali prima avrebbero corrisposto interessi. Il Financial Times ha riferito che, ad esempio, “La banca centrale d’Irlanda ha guadagnato 28,5 milioni di euro sui depositi dal governo e da istituti di credito”.  Presumibilmente per le banche centrali più grandi è molto di più.  (Fonte: FT via Torben Hendricks)
  4. Sul blog della Banca d’Inghilterra, sempre interessante, The Bank Underground, si discute l’impatto dei tassi negativi sul mercato dei derivati. Lo standard di settore per prezzare le opzioni di tasso di interesse è chiamato modello SABR e presume che i tassi non vadano sotto allo zero.  Fischer Black, che ha contributo all’elaborazione del modello di pricing delle opzioni, aveva detto “il tasso breve nominale non può essere negativo”.  Modifiche a tale modello, necessarie in quanto i tassi sono passati in negativo, ora implicano maggiori incertezze di risultati e pertanto costi di copertura più elevati.  La necessità di coprire alcuni di questi rischi, e altre derivanti dalla vendita storica di titoli strutturati, potrebbe avere accresciuto la domanda di obbligazioni fisiche e pertanto condotto i rendimenti in territorio ancora più negativo, aumentando allo stesso tempo la volatilità.
  5. Il ministero delle finanze giapponese sta stampando in quantità superiori le banconote dal taglio più grande (10.000 yen) per far fronte alla domanda.  La produzione aumenterà a 1,23 miliardi di banconote l’anno, da un livello tipico di 1,05 miliardi.  Si pensa che il denaro tenuto in casa sia aumentato del 14% nello scorso anno.  Questo potrebbe essere dovuto in parte ai tassi negativi, ma anche all’introduzione di un nuovo regime di identificazione (”Il mio numero”) che lega imposte e previdenza sociale.  (Fonte: Japan Times)
  6. Ecco un link ai documenti di una conferenza del 2015 del Centro per la Ricerca di Politica Economica.  Il titolo della conferenza era “Rimuovere lo Zero Lower Bound sui Tassi di Interesse”. I documenti includono non solo dibattiti economici, ma discussioni delle implicazioni per i sistemi legali e di pagamento.
  7. Vale la pena di leggere l’articolo del 2012 al seguente link dal blog Liberty Street Economics, equivalente al The Bank Underground per la Fed di New York.  Tra le varie “turbative” che potrebbero emergere in ambienti di tassi negativi, l’articolo suggerisce che le grandi imprese che non possono fisicamente detenere abbastanza liquidità da poter ritirarla dai sistemi bancari, potrebbero innovarsi a livello finanziario.  Offrono l’esempio di una banca a scopo speciale, con un caveau pieno di liquidità fisica, che emette assegni conferenti un diritto su quella liquidità.  A un certo livello di tassi negativi le società veicolo sono in grado di applicare una tariffa che rende allettante per le società detenere un assegno fisico di entità ridotta garantito da liquidità detenuta in strutture sicure, piuttosto che conservare il denaro in un sistema bancario tradizionale.  Suggeriscono inoltre che le persone potrebbero smettere di depositare assegni: anche se si prova a pagare qualcuno in maniera anticipata, potreste non riuscire a disfarvi del denaro.  In un’ultima grande citazione la Fed afferma che “se i tassi passano in negativo, potremmo assistere ad uno scoppio epocale di innovazione finanziaria socialmente infruttuosa, seppure individualmente vantaggiosa.

Vi invito a postare altre osservazioni di comportamenti economici o di mercato inusuali come conseguenza dei tassi negativi, o link a interessanti articoli accademici sull’argomento, nello spazio per i commenti di seguito!

All’inizio di questa settimana, Richard Woolnough ha scritto un post riguardo ai tassi negativi e alla tassazione degli interessi (che potete leggere qui). In quell’articolo suggeriva anche che, quando la Bce smetterà di stampare le banconote da 500 euro e di distribuire quelle esistenti alla fine del 2018, le banconote in circolazione saranno scambiate a un premio. Secondo la sua tesi, dato che le banconote resteranno in corso legale in tutta l’Eurozona, la domanda di una banconota con il minimo costo per il deposito fisico e la massima portabilità sarà superiore all’offerta limitata (e ora finita). Quindi, chi vorrà procurarsene una, è possibile che dovrà pagare, diciamo, 501 euro per il privilegio. Questa teoria ha innescato un dibattito in ufficio: secondo me potrebbe succedere il contrario. Per quanto l’offerta sia limitata, è possibile che la domanda crolli in misura sostanziale. È stato ipotizzato che una porzione significativa dei 300 miliardi di euro (il 30% delle banconote totali in circolazione) di questi biglietti di grosso taglio sia costituita da proventi di attività illecite o detenuta a scopo di elusione fiscale. Una delle fasi del riciclaggio di denaro viene definita “integrazione”: in altre parole, consiste nel girare contanti posseduti illecitamente su conti bancari o asset legittimi. In un mondo in cui tutti sanno che non è più possibile procurarsi banconote da 500 euro, il tentativo di usarle in una transazione di questo tipo non diventa forse un segnale fortemente indicativo del fatto che questa persona potrebbe essere un criminale o un evasore fiscale, spingendo l’insospettito a chiamare la polizia o la finanza? E quindi non potrebbe esserci una corsa dei detentori a convertirle in banconote “correnti”, ad esempio da 200 euro, o meglio ancora in biglietti da 1000 CHF in Svizzera? Per questo credo che la banconota da 500 EUR dovrebbe essere scambiata a uno sconto rispetto al valore facciale, visto che i detentori cercheranno di liberarsi di uno strumento meno liquido.

In ogni modo, abbiamo pensato che fosse una buona idea lanciare un sondaggio via Twitter per vedere cosa ne pensa la gente (e fare un esperimento con il nostro primo sondaggio). E i risultati sono pronti. Abbiamo ricevuto 190 voti e, a quanto pare, sono in minoranza. Il 50% di voi è d’accordo con Richard: saranno scambiate a un premio.

Will the €500 note trade at a premium or discount once the ECB stops printing them? The poll results are in…

Il mondo ha già visto tassi d’interesse negativi in passato: la Svizzera ha adottato tassi inferiori allo zero per gli stranieri negli anni Settanta, al fine di rallentare i flussi verso il franco.  Oggi però, l’ambiente di tassi negativi è molto più esteso e va dalla Svizzera alla Danimarca, dalla Svezia al Giappone passando per l’Eurozona.  Molto è stato scritto sui meccanismi di trasmissione desiderati dei tassi negativi: prestiti a costi diretti inferiori per le famiglie e le imprese che danno impulso all’attività economica, un effetto di ribilanciamento dei portafogli in cui gli investitori vendono gli asset con rendimenti bassi/negativi per acquistare strumenti più rischiosi, riducendo così i costi di finanziamento delle imprese, ma anche (ed è un aspetto controverso) l’attrattiva della valuta di un’economia, in un mondo in cui la svalutazione competitiva è vista come auspicabile.  Comunque, questo post intende cogliere altre conseguenze dei tassi negativi, alcune indesiderate e altre che creano problemi diversi per le autorità di governo.

Per ora questa lista contiene dieci osservazioni, ma prevedo di aggiornarla periodicamente man mano che il mondo di tassi negativi si evolve nel corso dei mesi o degli anni a venire.  Vorrei chiedervi aiuto per individuare eventuali cambiamenti comportamentali interessanti e notizie storicamente rilevanti.  Se avete qualcosa da segnalare, potete lasciare un commento in calce o inviarci un link tramite Twitter (@bondv_italiano) o per e-mail.   Ho utilizzato le fonti migliori per i fatti, ma prenderò in considerazione anche dati aneddotici.  Per la maggior parte dei siti indicati non serve alcuna registrazione, ma alcuni potrebbero richiederla.

  1. Per chi è seduto su una montagna di liquidità, i tassi negativi sono un costo inatteso.  Ad esempio, le compagnie assicurative erano abituate a raccogliere i premi dai clienti e a ottenere un guadagno da quella liquidità investita.  In un mondo di tassi negativi, il pagamento anticipato di un premio fa da freno ai rendimenti.  Questo vale per tutte le aziende: i clienti migliori diventano quelli che pagano in ritardo.  Ed è vero anche per le autorità fiscali.  Nel cantone svizzero di Zug, il fisco ha chiesto ai contribuenti di ritardare il pagamento degli importi dovuti il più a lungo possibile.  Zug ha calcolato che in questo modo il cantone risparmia 2,5 milioni di franchi svizzeri l’anno.
  1. Le vendite di cassette di sicurezza stanno aumentando rapidamente.  Togliere i contanti dal conto e tenerli in casa o in un luogo sicuro garantisce che, nella peggiore delle ipotesi, il tasso d’interesse ricevuto sarà pari a zero.  Inoltre, si è immuni al rischio di un salvataggio a spese dei correntisti se il settore bancario dovesse trovarsi in difficoltà (come è successo a Cipro, per esempio).  Shimachu, negozio di ferramenta giapponese, dice che le vendite di casseforti sono aumentate di 2 volte e mezzo rispetto a un anno fa.
  1. E non sono solo le famiglie a tenere il denaro in casa per evitare che i risparmi diventino un costo.  La compagnia di assicurazioni tedesca Munich Re sta sperimentando i magazzini per le banconote.  Per cominciare, metterà in deposito 10 milioni di euro in banconote.
  1. Se immagazzinare la liquidità in forma fisica fa inceppare il meccanismo di trasmissione, cosa possono fare le banche centrali per rendere difficile questa pratica?  Mario Draghi della Bce ha suggerito l’idea di eliminare le banconote da 500 euro, che rappresentano il 30% dei contanti in circolazione.  Ha dichiarato che questo taglio viene utilizzato dal crimine organizzato per accumulare valore, senza accennare agli effetti sull’efficacia della politica monetaria, che però è chiaramente un fattore.
  1. Le autorità finanziarie potrebbero anche impedire il prelievo di grosse somme di denaro da parte di banche, fondi pensione e compagnie assicurative, esplicitamente attraverso la regolamentazione, o tramite il vecchio metodo del “sopracciglio alzato”.  In Svizzera sembra che una banca abbia negato a un fondo pensione la possibilità di ritirare dal conto una somma di denaro elevata in banconote.  A quanto pare, la BNS ha chiesto alle banche di essere “restrittive” su pagamenti di questo tipo, con somma irritazione dell’associazione svizzera dei fondi pensione.
  1. Esiste un onere tecnologico e amministrativo associato ai tassi negativi.  Gli istituti finanziari hanno dovuto cambiare i sistemi informatici, è stato necessario emendare i contratti (ad esempio, gli accordi swap ISDA) e riformulare la documentazione relativa alle obbligazioni (floor per i titoli a tasso variabile, o FRN).
  1. Con l’Euribor a 12 mesi sceso in territorio negativo a febbraio 2016 per la prima volta in assoluto, per i proprietari di immobili spagnoli, che in genere pagano interessi di mutuo fissati in base a questo parametro, senza un limite minimo a zero, le spese stanno diminuendo drasticamente.  La spagnola Bankinter ha offerto anche mutui ipotecari legati ai tassi svizzeri e alcuni clienti hanno diritto a ricevere un pagamento mensile dalla banca (di fatto, la banca sta riducendo il capitale da rimborsare, per evitare esborsi in contanti).  Il settore dei mutui spagnolo è stato spesso citato fra i motivi per cui la Bce non avrebbe mai adottato tassi negativi, per via dell’impatto sul conto economico delle banche.  Una motivazione analoga, legata al settore degli istituti di credito edilizio britannico, è stata addotta dalla Banca d’Inghilterra per giustificare il mantenimento dei tassi al livello relativamente elevato dello 0,5%.
  1. Uno scenario diverso ha avuto un impatto sul settore bancario svizzero.  In un meccanismo perverso, gli interessi ipotecari offerti dalle banche in Svizzera sono aumentati all’indomani dell’adozione di tassi negativi.  Le banche al dettaglio svizzere si sono rese conto che avrebbero avuto difficoltà a scaricare sui correntisti i tassi negativi che erano costrette a pagare sulle riserve detenute presso la BNS.  Per mantenere i profitti a un livello simile, devono quindi chiedere di più ai mutuatari, quindi i tassi di prestito sono saliti.  Anche le compagnie assicurative svizzere offrono mutui ipotecari, ma li finanziano attraverso l’emissione di obbligazioni a lunga scadenza, anziché con i depositi, quindi sono riuscite a trasferire i tassi bassi agli investitori, diventando relativamente più competitive rispetto alle banche.
  1. Come abbiamo visto, la capacità di eliminare le banconote dal sistema ufficiale può interferire con il funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria, fissando di fatto a zero il limite minimo dei tassi per chi sceglie questa strada.  Ciò vuol dire che l’argomento della moneta elettronica è balzato in primo piano.  Le economie moderne in genere si muovono comunque in questa direzione: negli ultimi anni si è moltiplicato l’uso di carte di credito, transazioni da dispositivi mobili, Paypal e e-banking.  In Svezia i contanti oggi rappresentano solo il 2% dell’economia contro il 7,7% negli Stati Uniti e il 10% nell’Eurozona.  In parte, la riduzione dell’uso dei contanti in Svezia è stata innescata dalle nuove regole mirate a sconfiggere l’elusione fiscale, ma il Paese è anche pioniere nell’adozione di nuove tecnologie.  Con meno liquidità in circolazione ci sono anche meno posti dove nascondersi dai tassi negativi.  Sarebbe possibile per le autorità eliminare completamente la moneta cartacea?  È qualcosa a cui anche Andy Haldane, della Banca d’Inghilterra, ha accennato nel contesto dell’adozione di tassi negativi.  Comunque consiglierei di non parlare mai di una cosa del genere in pubblico, perché certa gente reagisce veramente male.
  1. Come attenuante delle conseguenze non volute dei tassi negativi, quasi tutte le banche centrali hanno cercato di limitare il danno potenziale ai profitti delle banche con l’introduzione dei tassi d’interesse a scaglioni, ossia di entità diversa su parti differenti delle riserve bancarie.  Nel caso del Giappone, ad esempio, le riserve detenute prima che i tassi diventassero negativi continuerebbero a generare un interesse dello 0,1%.  Le banche in genere sono incentivate a non convertire le riserve in banconote, dato che qualsiasi riduzione viene prelevata dalla componente con il tasso d’interesse più alto, anziché da quella con il più negativo.

Cosa ci è sfuggito?

Ecco alcuni fatti che ho trovato interessanti nel corso dell’ultima settimana:

  1. Sono appena tornato da una settimana di vacanza in Francia, dove la mia fonte di notizie era l’International New York Times dell’albergo. Terribile per quel che concerne pettegolezzi sulla Championship inglese, ma con molti articoli sulla politica statunitense e in particolare sulla recente discussione relativa alla Finestra di Overton .  Secondo la teoria di Joseph Overton, esiste in un qualsiasi momento una serie limitata di politiche accettabili al pubblico votante.  Per citare Wikipedia, “la sostenibilità politica di un’idea dipende principalmente dall’eventualità che essa rientri in tale finestra, piuttosto che dalle preferenze individuali dei politici”.   Secondo uno degli articoli che ho letto, il successo di Trump dimostrerebbe che i media di maggior rilievo hanno allentato la capacità di controllare “i limiti di cosa sia accettabile affermare”.   Essi non sono più consapevoli di dove si trovi la Finestra di Overton, e non sono più in grado di agire come “controllori”dell’opinione pubblica.  Le idee circa i limiti del libero commercio (anche quelle provenienti da Sanders a sinistra) o circa il rimpatrio degli immigrati clandestini sono forse giunte nella Finestra senza che molti di noi se ne accorgessero.  Questi elementi mi hanno fatto pensare che probabilmente la Finestra di Overton è applicabile alla politica monetaria, quanto lo è a quella estera o commerciale.  I tassi di interesse negativi sono già stati normalizzati per molti cittadini europei.  E per quel che riguarda il “denaro elicottero” e la monetizzazione del debito?  E l’ “elettronificazione” (elettrificazione?) di denaro e l’abolizione della liquidità?  Tali idee sono ancora considerate non plausibili dai principali commentatori eppure, sia in ambito accademico (per esempio La Teoria Monetaria Moderna) che in quello delle banche centrali (Andy Haldane  della Banca d’Inghilterra sui tassi negativi, l’abolizione della liquidità), credo che la Finestra di Overton per la politica monetaria si sia drammaticamente spostata.
  2. I Certificati di risparmio nazionali nel Regno Unito sono un regalo incredibile per coloro che hanno le risorse di acquistarli (generalmente direi contribuenti a reddito elevato).   Durante il weekend la stampa ci ha tristemente informati che il tasso di reinvestimento per i Certificati di risparmio indicizzati è stato tagliato a RPI (generalmente la misura più elevata dell’inflazione britannica, spesso superiore dello 0,75% o più all’obiettivo IPC della Banca d’Inghilterra) più 0,01%, rispetto a RPI+0,05%.  So che 0,01% non sembra una grande cifra.  Ma l’RPI si sta muovendo a ritmi di 1,3% l’anno, e persino alle minime dei prezzi petroliferi era ancora positivo allo 0,7%.  E il rendimento è esente da tasse!  Per contestualizzare, un gilt indicizzato con scadenza nel 2022, disponibile all’acquisto nel mercato obbligazionario generale, corrisponde all’investitore l’RPI britannico meno 1,29%.  Inoltre, su questa cifra l’investitore verrebbe tassato anche come investitore individuale.  Non mi è chiaro perché le condizioni su questi investimenti di risparmio nazionale siano così incredibilmente generose.  Suppongo sia per via dello shock “di percezione” provocato dai tassi inferiori allo zero e dai titoli di giornale che ciò attrarrebbe.
  3. Il blog della Banca d’Inghilterra Bank Underground, è un’ottima lettura (così come il blog della Fed di New York,  Liberty Street Economics).  La scorsa settimana chiedeva  perché l’emissione di obbligazioni societarie in sterline sia crollata.  L’emissione in questione è dimezzata rispetto al 2012, e la quota in sterline dell’emissione globale di debito corporate non è mai stata più ridotta di così.  Di conseguenza, gli autori suggeriscono che le piccole imprese britanniche senza accesso a mercati obbligazionari esteri potrebbero dover affrontare costi di prestito più elevati.  Perché l’emissione in sterline è diminuita?  Gli autori suggeriscono alcune ipotesi, incluso il recente annuncio di acquisto di debito corporate denominato in euro da parte della BCE, che ha reso la moneta unica una valuta più “economica” in cui emettere obbligazioni. Tuttavia, i tre fattori principali potrebbero essere fusioni con l’industria britannica dell’asset management, che rendono più concentrata la base degli investitori, il flusso di cassa ridotto in annualità (ben provviste di credito) in seguito alle riforme pensionistiche e la competitività creata dalle emissioni in euro una volta che il mercato ha raggiunto una massa critica.    La conclusione:  le imprese con rating migliori possono assumere prestiti in euro o dollari e scambiare i proventi e le cedole in sterline, mentre le imprese con rating inferiori non possono.  Le commissioni patrimoniali per le banche nello scambio con entità con rating inferiori sono troppo elevate.  Pertanto potrebbero dover emettere in sterlina “costosa”, e il mercato obbligazionario corporate UK si concentrerebbe sull’high yield.  Detto ciò, Daniel Lamy di J P Morgan sottolinea che non c’è stata ALCUNA emissione high yield in sterline quest’anno.
  4. Aprendo la posta al rientro dalle vacanze mi sono reso conto che quando una società comunica che ci sono “cambiamenti”, è sempre per il peggio.   È un eufemismo per introdurre “aumenti dei costi” o simili.  Sky TV mi ha scritto per comunicarmi che il “prezzo del mio abbonamento a Sky sta cambiando”, aumentando di 4,75 sterline al mese (circa il 7,5% rispetto all’IPC al +0,3%), e la compagnia della mia carta di credito mi ha comunicato che il nome della mia carta sta cambiando da carta di credito con opzione “cashback” (e nome della banca) a carta di credito (e nome della banca).   Grr.
  5. Per finire, Stefan Isaacs, vice del team obbligazionario di M&G, tra le altre cose, parteciperà alla Maratona di Londra.   Già!  Se desiderate sponsorizzarlo, potete trovare la sua pagina di raccolta fondi a questo link.  Il suo obiettivo è superare il benchmark stabilito da Anthony Doyle di M&G nel 2014, con 05:02:27, tempo stabilito correndo con addosso una maglia metallica e spingendo un cilindro da cricket. Eh?  Ah no, apparentemente è semplicemente il tempo che ci ha impiegato correndo normalmente.  Ad ogni modo, in bocca al lupo Stefan!

Il mese scorso siamo stati a Tokyo per un viaggio di studio.  La scoperta principale che hanno fatto i miei colleghi Anjulie Rusius e Anthony Doyle è che sono “fastidiosamente bravo al karaoke”.  Di fronte a questa accusa, non posso fare altro che alzare le mani.  Sfortunatamente per voi, il video ufficiale del viaggio non contiene nessuna delle mie esibizioni canore.  Parliamo invece del motivo per cui, contrariamente alla vulgata corrente, è possibile che le autorità giapponesi non vogliano né a) uno yen molto più debole, né b) un ulteriore rialzo dell’inflazione; forniamo un aggiornamento sui progressi dell’Abenomics e le “tre frecce”; e andiamo a conoscere Asimo, l’efficiente robot di Honda, per scoprire se la tecnologia possa salvare il Giappone dal rapido deterioramento demografico. Scopriamo oggi che il governatore della Banca del Giappone Kuroda ha esteso la scadenza dei titoli di Stato (JGB) che saranno acquistati nell’ambito del QQE e ampliato la gamma di ETF acquistabili.  Inoltre, si è dichiarato consapevole del fatto che per la maggior parte delle persone il motivo di queste iniziative sarebbe risultato incomprensibile.  Siamo anche noi tra i “sorpresi”: non è questa la “freccia” che ha ancora il potere di dare impulso all’economia nipponica.

P.S. Il Giappone costa POCO.  Lo yen è sottovalutato di almeno il 25%.  Un martini dry al bar di un albergo di lusso con vista sul Palazzo Imperiale (modesta dimora che un tempo era stata stimata a un valore superiore a quello dell’intero mercato immobiliare della California, bla, bla, bla) è costato 4 sterline.  Si raccomanda un viaggio in Giappone al più presto.

Il seguente video è disponibile unicamente in inglese.

La settimana scorsa ci sono stati due episodi che mi hanno suscitato qualche perplessità.  Prima di tutto, dopo aver scritto un post sull’impatto di El Nino sull’inflazione globale (qui), Anthony è stato contattato dai responsabili di una società che poi sono venuti da noi in ufficio a parlarci della loro attività.  Usando i dati dei satelliti della NASA e dell’UE, quest’azienda genera stime di utile per le società attive nel commercio al dettaglio e previsioni sull’economia.  Contando dallo spazio le auto presenti nei parcheggi dei grandi centri commerciali, elaborano stime sul numero di acquirenti (“footfall”) – e le cifre che si discostano dagli intervalli tipici in genere puntano a un’imminente sorpresa nei ricavi.  Possono stimare la produzione delle case automobilistiche e valutare la velocità della costruzione di edifici e infrastrutture rispetto ai piani.  Riescono anche a monitorare i campi magnetici ed elettrici, ad esempio intorno alle centrali elettriche, e a rilevare i livelli di CO2 per regione (ci hanno stuzzicato parlando di dati di CO2 interessanti per la Cina ultimamente, ma non siamo clienti, quindi…).   Tutto questo è molto affascinante, ma solleva anche parecchie domande etiche e legali, oltre a farmi pensare al futuro delle statistiche (e della gestione dei fondi) tradizionali.

Dunque, eticamente è accettabile esaminare le abitudini di acquisto della gente dallo spazio?  Legalmente abbiamo diritto alla riservatezza? E se qualcuno conta i tuoi autocarri dall’orbita per avere un vantaggio quando compra o vende le azioni della tua società, commette un atto di insider trading?  E come possono rispondere le agenzie statistiche tradizionali allo sviluppo di “nuove” statistiche in grado di fornire un dato sul PIL accurato in tempo reale, invece di una cifra attesa per mesi, accolta con scetticismo alla pubblicazione e poi modificata più volte?  Abbiamo scritto in diverse occasioni a proposito del Billion Prices Project, un dato IPC in tempo reale derivato dai prezzi dei rivenditori online, e suppongo che l’indice Li Keqiang sia un esempio di come persino i funzionari di governo utilizzino dati alternativi alle cifre sul PIL cosiddette “nowcast”, o di previsione a breve termine.  Sembra che la tecnologia sia destinata ad avere un impatto significativo sulla nostra capacità di comprendere (o almeno di misurare) l’economia, anche se il suo impatto sull’economia in sé continua a confondere (“Si vedono computer ovunque, tranne che nelle statistiche di produttività” – Robert Solow).

Secondo, e sempre in tema di tecnologia e del suo impatto sulla gestione degli investimenti, ho ricevuto un’e-mail da un’altra società che mi offre il servizio seguente. Mi  chiedono se mi piacerebbe avere un collegamento dal vivo con la conferenza stampa di giovedì del presidente della BCE Draghi. Questo link probabilmente sarebbe 8 secondi più veloce dei feed di Bloomberg e CNBC, e mi farebbe risparmiare 20 secondi rispetto all’opzione di seguirla sul sito web della stessa BCE.  Non è propriamente Flash Boys, ma è possibile che l’industria degli investimenti si stia avviando a diventare molto più tecnologica.  Qualcuno si vuole abbonare a Wired?

E se non sapete da dove viene il titolo di questo post (più o meno), eccovi un bel regalo.

Prima di tutto, grazie a Business Insider.  Ogni tanto arriviamo in ufficio e scopriamo che centinaia di nuovi follower hanno cominciato a seguirci su Twitter: questa settimana lo dobbiamo a BI che ci ha citati al secondo posto nella classifica di chi “cinguetta” di finanza.  E siamo in ottima compagnia in quella lista: vale la pena di seguire tutti e, a tale proposito, vorrei consigliare di seguire il redattore di Business Insider per i mercati europei Mike Bird (@Birdyword), se siete su Twitter.

Poi, l’inflazione.  Con l’energia che rappresenta direttamente il 10-15% dei panieri IPC nelle economie sviluppate, i prezzi del petrolio ovviamente incidono in misura significativa sul tasso di inflazione complessivo.  Gli effetti di secondo round sono meno visibili, ma i costi di trasporto in particolare conteranno molto praticamente in ogni altra area del paniere di inflazione, relativa a beni o servizi.  Negli Stati Uniti le ricadute dei prezzi petroliferi più alti o più bassi in genere sono più evidenti che in Europa, per via del fatto che gli americani pagano meno tasse sui carburanti alla pompa, quindi le variazioni di prezzo sono molto più dirette che non in Regno Unito o nell’Eurozona, dove il prezzo alla pompa è costituito per gran parte da accise e IVA.  Ad esempio, in Regno Unito per un litro di benzina senza piombo che costa 1,10 sterline, ci sono circa 58 pence di accise e 18 pence di IVA, quindi la componente non tassata equivale grosso modo al 30% del prezzo alla pompa.  Dato che i prezzi del greggio WTI e Brent sono crollati nel corso dell’ultimo anno (il Brent ha perso il 57% tra agosto 2014 e lo stesso mese del 2015), l’inflazione ha flirtato con lo 0% a livello complessivo sia in Regno Unito che negli Stati Uniti e nell’Eurozona.  Se osserviamo i dati recenti nell’area dell’euro, la componente energetica dell’indice IPC è scesa di oltre il 7% anno su anno.  Nonostante gli effetti di secondo round, tutte le altre componenti principali hanno registrato un aumento (beni, alimentari e servizi, questi ultimi con un +1,3% su base annua).

Con l’aumento dei timori di deflazione, il prezzo della protezione anti-inflazione è crollato.  Le obbligazioni indicizzate hanno attraversato una fase turbolenta in estate e il parametro di mercato per le aspettative di inflazione che le autorità monetarie seguono da vicino (il tasso di breakeven a 5 anni atteso da qui a 5 anni) ha segnalato un pericolo.  A fine settembre, dopo l’accenno della Fed al rallentamento globale fra le motivazioni del mancato intervento sui tassi, il mercato dei TIPS USA si aspettava un IPC complessivo di appena l’1% in media per i prossimi 5 anni.  Pensando al prossimo biennio, un “ribassista” potrebbe trovare valide argomentazioni all’ipotesi che i prezzi del petrolio esercitino pressioni verso il basso sui tassi di inflazione.  Siamo in presenza di una sovraproduzione derivante dallo scisto negli Stati Uniti (e anche quei nomi dell’energia nel segmento HY che non sono redditizi al di sotto dei 50 dollari al barile continuano a pompare – qualsiasi ricavo è meglio di niente, il problema sono i costi fissi e il servizio del debito, non i costi marginali) e, dopo anni di sanzioni, il petrolio iraniano sta per arrivare sui mercati globali.  Considerando il rallentamento della domanda dalla Cina e dai mercati emergenti, non sarebbe sorprendente vedere prezzi del petrolio ancora più bassi da qui a un anno.  Se il petrolio scende a 25 dollari, dovremmo vedere la componente energetica dell’IPC perdere un altro 7-10%, mantenendo i tassi annuali complessivi intorno allo zero.  Si potrebbe quindi considerare giustificata la correlazione fra i tassi di inflazione di pareggio a breve termine e i prezzi petroliferi.  Per contro, è ben più difficile spiegare è il motivo per cui il prezzo del petrolio e i tassi di inflazione di pareggio a 30 anni siano così strettamente correlati.

La tabella in alto mostra che c’è stata una correlazione molto forte tra i tassi di inflazione di breakeven a 5 anni e il prezzo del petrolio fin dalla metà del 2014, sia negli Stati Uniti che in Regno Unito.  E fin qui tutto bene.  Ma curiosamente quella fra i tassi di inflazione di pareggio a 30 anni e il prezzo del petrolio negli Stati Uniti è spropositata:  al 95% con un R quadro di 0,89,  è la correlazione più alta mai rilevata nei mercati sviluppati.  Ma perché i livelli attuali dei prezzi petroliferi dovrebbero incidere sulle aspettative di inflazione dei prezzi al consumo statunitensi per i prossimi trent’anni?  Per avere lo stesso impatto annuale sul tasso di inflazione USA dell’anno prossimo, il petrolio dovrebbe scendere a 25 dollari.  Poi l’anno successivo dovrebbe dimezzarsi di nuovo a 12,50 dollari  e quindi a 6, 3, 1,50 e così via.  Credo che ci sia una teoria secondo cui i costi dell’energia tendono al ribasso – abbiamo scritto su questo blog degli sviluppi riguardanti le fonti rinnovabili, gli accumulatori e l’energia nucleare da fusione – ma anche nell’ipotetico scenario in cui tutta l’energia diventasse gratuita, quell’impatto sparirebbe dal dato IPC sempre un anno dopo.  Quindi negli Stati Uniti, i tassi di breakeven a 30 anni sono scesi dalla media di lungo periodo del 2,4% di due anni fa all’1,67% attuale, per effetto del dimezzamento del prezzo del petrolio.  Non credo sia sensato per i mercati affermare che le autorità statunitensi non riusciranno a raggiungere l’obiettivo di inflazione del 2% nei prossimi 30 anni, sulla base del movimento dei prezzi energetici a un anno.  Sembra irrazionale.

E parlando di inflazione, ricordo che qualche anno fa la Banca d’Inghilterra (BoE) aveva reso noto di aver ricevuto montagne di lettere riguardo alla mancanza di banconote da 5 sterline nei bancomat e in generale in circolazione, assumendo l’impegno di metterne in giro di più.  All’epoca avevo pensato che fosse un segnale molto disinflazionistico: il pubblico chiedeva banconote di taglio più piccolo di quelle generalmente disponibili.  Beh, la Banca centrale di Irlanda ha annunciato che sta cercando di eliminare le monete da 1 e 2 centesimi e di introdurre un arrotondamento per eccesso o per difetto ai 5 cent più vicini (avevamo scritto un post nel 2012 sull’ipotesi di fare fuori le monete da 1 e 2 centesimi).  È il contrario di quello che stava tentando di fare la BoE ed è un piccolo segno del fatto che forse non dovremmo essere così preoccupati per una possibile deflazione in Irlanda in un futuro prossimo.  La Giornata dell’arrotondamento è il 28 ottobre.

Robot.  Sono stato di recente a una colazione con l’autore di “Rise of the Robots” Martin Ford, per discutere la teoria in cui sostiene che, mentre nell’ultima lunga fase di sviluppo umano, i macchinari e la tecnologia hanno sostituito gli arnesi, nella fase successiva, che è quella che stiamo attraversando ora, le macchine (i robot) stanno rimpiazzando i lavoratori.  Non sono del tutto sicuro di come si faccia una distinzione e ho visto ricerche in base alle quali la tecnologia ha sempre distrutto milioni di posti di lavoro, creandone al contempo molti di più.  Un punto su cui potrebbe avere ragione è che questa ondata di tecnologia sta rimpiazzando i lavori della “classe media” e dei “colletti bianchi” in una misura mai vista prima, e questo potrebbe essere un’arma a doppio taglio in quanto lo svuotamento dei posti di lavoro si accompagna all’impoverimento della grande classe di consumatori: i robot non comprano niente e la riduzione della domanda complessiva sarà molto dannosa per la società.  Martin indica una crescita della forza lavoro statunitense di 2 milioni o più per anno e si aspetta problemi sociali rilevanti se i robot comprimono l’insieme di lavori disponibili per noi miseri umani.  Ad accumulare ricchezza saranno i proprietari dei robot, mentre una grande fetta della popolazione sarà disoccupata.  Potrebbe diventare necessario un “reddito base” per garantire il mantenimento degli standard di vita (e permetterci di continuare a comprare).  Martin forse ha ragione sugli Stati Uniti, caratterizzati da una dinamica demografica vigorosa e da una forza lavoro in crescita.  Ma che ne sarà di noi poveri europei sempre più vecchi, per non parlare del Giappone o della Cina, dove la politica del figlio unico si profila come la ricetta di un incubo demografico?  La quota della popolazione globale in età lavorativa probabilmente ha toccato il picco nel 2012, dopo quattro decenni di crescita.  Possibile che i robot diventino assolutamente necessari, per svolgere il nostro lavoro mentre noi ce ne stiamo in casa di riposo?  Comunque è una lettura interessante.

Altre due letture recenti:  “Fields of Fire” di James Webb, secondo me il più bel romanzo sulla guerra del Vietnam, e “Doing Good Better” di William MacAskill.  Il libro di MacAskill probabilmente merita un post a sé: parla dei modi migliori di donare a cause meritevoli e solleva affascinanti questioni morali e concetti come la “micromorte” (intesa come la quantità di tempo che perderemo, in media, nella nostra vita partecipando ad attività come andare in moto o fumare).  Per chi non avesse tempo di leggerlo: potete salvare una vita con una donazione di circa 3000 dollari, forse anche meno.  Donate alle migliori organizzazioni che distribuiscono zanzariere e farmaci antiparassitari.

Un libro che non me la sento di affrontare è il nuovo romanzo di Morrissey.  La sua autobiografia era una bomba, ma le recensioni di “List of the Lost” sono così unanimemente negative che per ora lo sto lasciando intonso sulla mensola.  Però ho qualcosa di emozionante da dire su Morrissey.  Ero presente alla sua prima esibizione da solista alla sala civica di Wolverhampton a dicembre del 1988 (guardate il video sotto) e alla fine di settembre ha tenuto quello che, per suo stesso dire, potrebbe essere l’ultimo concerto in assoluto nel Regno Unito, a Hammersmith.  Non essendo riuscito a salire sul palco nel 1988, sono lieto di annunciare che il mese scorso ce l’ho fatta a superare le barriere durante Suedehead.  Caro lettore: lui in persona mi ha stretto la mano!

https://www.youtube.com/watch?v=rqq7Pqh66Ps

Il nostro nuovo sondaggio, condotto in collaborazione con YouGov in vari Stati membri dell’UE (Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna e Austria), rivela un livello molto basso di sostegno a futuri salvataggi sovrani, in caso di crisi del debito e difficoltà economiche.  Riportiamo di seguito la domanda posta nell’ambito del Sondaggio M&G YouGov sulle aspettative di inflazione, che sarà pubblicato su questa pagina in versione integrale all’inizio di ottobre.

In che misura sareste favorevoli o contrari all’ipotesi che il vostro Paese conceda un sostegno finanziario significativo (o la cancellazione parziale o totale di un debito) qualora un’altra nazione dell’Unione Europea si trovasse in gravi difficoltà economiche?

Come si può immaginare, il Regno Unito, dove il partito antieuropeista UKIP ha ottenuto il 13% dei voti alle elezioni politiche e si prospetta un referendum sulla “Brexit” entro la fine del 2017, mostra un alto livello di opposizione ai salvataggi sovrani finanziati dai contribuenti britannici.  Tuttavia, il grado di contrarietà più elevato a questo genere di misure, all’interno dell’Unione Europea, è stato riscontrato in Austria, mentre anche in Francia e in Germania la maggioranza degli intervistati ha dichiarato di non approvare l’idea.  Le due nazioni sondate con il debito sovrano più pesante, Italia e Spagna, risultano prevedibilmente più favorevoli ad aiutare i Paesi in difficoltà economiche: nel caso della Spagna, il 43% dei rispondenti (di gran lunga la percentuale più alta) approva i salvataggi e solo il 33% è contrario (la percentuale nazionale più bassa).  Questi dati escludono le risposte “non so”, che variano da solo il 2% in Austria al 12% nel Regno Unito.  Il resto degli intervistati in ogni caso (non indicato nel grafico) ha risposto di non essere “né favorevole né contrario” all’idea dei salvataggi.

Sondaggio M&G YouGov

Per diventare un’Area valutaria ottimale (AVO), l’Eurozona ha bisogno di trasferimenti fiscali tra le regioni con un’economia florida e quelle in cui l’economia è più debole.  I dati del sondaggio confermano che la maggior parte dell’opinione pubblica è contraria a tali trasferimenti.  Ma forse non è una sorpresa: abbiamo scritto in un post di circa due anni fa che alcuni Stati della federazione tedesca si oppongono strenuamente ai trasferimenti fiscali anche all’interno della stessa Germania, figuriamoci a quelli verso altri membri dell’UE.  Lo scarso sostegno della popolazione non significa che non si possano effettuare salvataggi sovrani: ne abbiamo già visti all’interno dell’UE.  Però significa che non godono del sostegno democratico e forse anche che i partiti politici che riflettono le opinioni anti-salvataggi probabilmente otterranno buoni risultati in futuro.  Inoltre vuol dire che i fautori dei salvataggi futuri saranno ancora istituzioni a un passo di distanza dal processo democratico, come la Bce e l’Fmi.  E se è vero che possiamo guardare questi risultati e dirci che sono un sintomo di come il progetto europeo sia viziato e compromesso, dovremmo chiederci come voterebbero i californiani se potessero dire la loro sui trasferimenti fiscali a Detroit, o cosa succederebbe se in Gran Bretagna si chiedesse alle Home Counties, ossia le contee intorno a Londra, se vogliono continuare a ridistribuire le entrate fiscali alle ex aree industriali in altre parti del Paese.   Ma, in assenza di un meccanismo (o un desiderio) di trasferimenti fiscali rilevanti all’interno dell’UE, e con la mancanza di una lingua comune che limita la libertà di movimento (anche se forse l’inglese sta assumendo sempre di più questo ruolo), si lascerà alle svalutazioni interne il compito di riequilibrare la situazione nell’Eurozona, il che implica episodi periodici di deflazione, salari in calo e alta disoccupazione.  Tutto meno che ottimale.

Tutti i risultati del sondaggio, inclusi quelli relativi alle altre domande su aspettative di inflazione, credibilità dei governi e delle banche centrali e aspettative sui prezzi delle abitazioni, saranno disponibili a ottobre, quando verrà pubblicato il nostro Sondaggio M&G YouGov sulle aspettative di inflazione.  Per questi primi dati diffusi, seguiteci su @inflationsurvey e consultate la pagina https://bondvigilantes.com/inflation-survey/ per i risultati precedenti.

Continuo a sentir circolare la tesi secondo la quale la Fed dovrebbe innalzare i tassi, in modo tale che se l’economia statunitense rallentasse, la banca centrale americana avrebbe la capacità di poterli tagliare nuovamente.  In altre parole, deve allontanarsi dai tassi al limite zero per poter far rientrare in gioco in futuro lo strumento di politica monetaria tradizionale del taglio dei tassi.  In momenti meno lucidi avrei potuto sostenere la stessa tesi anche io, ma fatico a ricordare perché dovrebbe essere una buona idea.  Sicuramente, affinché questa tesi possa avere senso, bisognerebbe sostenere che un aumento di (ad esempio) 50 bps da 0,25% a 0,75% sia meno efficace nel rallentare l’economia di quanto non sia un taglio di 50 bps da 0,75% a 0,25% nello stimolarla?  O credere che l’aumento dei tassi sia un segno di fiducia nell’economia, pertanto una mossa stimolante (d’altra parte, un taglio di emergenza dallo 0,75% se la crescita stagnasse non trasmetterebbe comunque il migliore dei segnali).  Non so, ha forse senso la tesi “innalza i tassi per poterli poi tagliare”?

Passando oltre, qualche notizia sui robot.  Al momento su Twitter non si parla d’altro.  Troviamo il robot lumbersexual di Google  che corre per la foresta ed  Erica, un androide dalle sembianze molto realistiche dal Giappone, resa ancora più umana in quanto è ora in grado di emettere il verso “hmmm” e aggrottare le sopracciglia quando non riesce a recuperare  nei suoi chip di dati una risposta appropriata alle vostre domande.   Troviamo il nuovo libro di Martin Ford, L’Ascesa dei Robot, da poco pubblicato e, per controbattere a tutte le storie di “robot che ci stanno rubando il lavoro”, Deloitte ha pubblicato uno   studio   secondo il quale la tecnologia sarebbe una “macchina crea-lavori” che aumenta il potere di acquisto e la domanda nell’economia.  Ma se da una parte i titoli di giornale sono ossessionati dall'”umanizzazione dei robot”, ad essere ancora più inquietante è la “robotizzazione degli umani”.  La stampa negativa di questa settimana su Amazon per via delle sue pratiche di lavoro scaturita un articolo del New York Times  mi conduce a questo terrificante articolo del 2012 da Mother Jones “ I was a Warehouse Wage Slave” (“ero schiavo dello stipendio di un magazzino”, ndr).

Parlando del tasso di robotizzazione, vi propongo un grafico che mostra il numero di robot ogni 10.000 impiegati umanoidi nella manifattura.  Vedrete che il Giappone è in testa tra le economie principali con una densità robotica di 332 nel 2012, segue non lontana la Germania, mentre Stati Uniti e Cina in particolare hanno densità ben inferiori.   Sullo stesso grafico ho inserito i rapporti di dipendenza demografica previsti, ovvero i pensionati come percentuale delle persone in età lavorativa entro il 2035.  Potrete osservare un rapporto decente.  La costruzione di robot è forse determinata dai cali di popolazione attiva previsti in futuro?  La popolazione britannica sta aumentando, principalmente per via dell’immigrazione (+500.000 nel 2014, oltre la metà dei quali migrazione netta).  Forse la tanto discussa debolezza della produttività nel Regno Unito è dovuta al nostro basso tasso di robotizzazione, che a sua volta deriva dalla nostra elevata crescita di forza lavoro rispetto a quei Paesi con più robot?

I tassi di robotizzazione sono correlati alle demografie

Per finire, una lettura estiva che vi consiglio caldamente:  non leggevo da tempo ormai libri geeky di fantascienza ma  Ready Player One  di Ernest Cline (ambientato in un futuro con l’ossessione della cultura popolare degli anni ottanta, videogiochi e musica) è fantastico.  Vi consiglierei anche della buona musica, ma finora il 2015 non ce ne ha regalata.  Neanche un po’.  Aspettate, forse l’album degli Hookworks …come non detto, quello è uscito nel 2014.

Dovrebbe esserci un nesso tra i rendimenti azionari (rendimenti degli utili o dei dividendi) e quelli dei gilt indicizzati e altre obbligazioni indicizzate all’inflazione.  A priori, e aggiustati per il rischio, i rendimenti attesi dovrebbero essere simili su tutte le asset class.  Nel caso delle azioni e delle obbligazioni indicizzate, entrambe le asset class offrono esposizione a rendimenti “reali” sia sul reddito che sul capitale.  Per le obbligazioni indicizzate ciò è esplicito nel contratto obbligazionario: cedole e proventi di rimborso finale sono sostenuti dall’indice RPI nel Regno Unito, e dal CPI in quasi tutti gli altri mercati.   Per le azioni il legame è meno solido, ma esiste comunque.  Acquistare un’azione dovrebbe apportare esposizione alla “vera” economia.  Con l’aumentare dell’inflazione, le compagnie sono in grado di incrementare i prezzi dei beni che vendono, e pertanto anche gli asset che possiedono (scorte, macchinari, proprietà, brevetti) dovrebbero registrare un aumento di prezzo.  Alcune delle loro passività (come ad esempio il debito) si contrarranno in termini reali (non sarà invece il caso di altre, come ad esempio salari e pensioni indicizzate all’RPI).  Ma proprio come detenere un’azione in un’impresa è come detenere un’azione nell’economia reale, profitti e dividendi dovrebbero aumentare man mano che aumenta l’inflazione.

Pertanto i rendimenti sui titoli indicizzati e sulle azioni dovrebbero nel medio termine presentare un legame.  Tuttavia, il grafico di seguito mostra che il rendimento del dividendo sul FTSE 350 è attualmente di oltre 400 bps superiore a quello sul gilt indicizzato a 10 anni (che offre attualmente un rendimento negativo).  All’apice del boom tecnologico, il rapporto fu per breve tempo invertito: il debito governativo britannico offriva un rendimento più elevato delle azioni più rischiose, ma da allora la tendenza è stata un aumento dei rendimenti azionari rispetto a quelli obbligazionari.

2015-08 blog JL_ITA

Questa considerevole discrepanza di valutazione potrebbe segnalare un aumento decisivo della rischiosità percepita delle azioni rispetto alle obbligazioni negli ultimi 10 anni.  Ma di fatto gli spread di credito sono intorno alle loro minime per il ciclo (dunque l’elevato rendimento del dividendo non significa che il mercato azionario si aspetti quantità elevate di default da parte delle compagnie) e l’indice VIX, una misura di volatilità implicita per le azioni, è anch’esso vicino a minimi record.  Vale la pena di ricordare che negli anni settanta, quando l’inflazione era fuori controllo, le azioni attraversarono un periodo pessimo, nonostante il legame tra dividendi e inflazione.  Se da una parte i dividendi registrarono una crescita, i rendimenti furono distrutti dal crollo del multiplo prezzo/utili delle azioni.  Forse potrebbe essere questa la ragione del divario tra i rendimenti azionari e quelli delle obbligazioni indicizzate, l’aspettativa che un’inflazione elevata possa provocare un crollo dei multipli?  Anche in questo caso, probabilmente no. Nei prossimi dieci anni il mercato stima un’inflazione RPI di circa 2,5% (caduta dal 2,8% di giugno, sulla scia del nuovo calo del prezzo del greggio).  Inoltre i mercati non prevedono un futuro deflazionistico, con taglio dei dividendi.  Pertanto, le spiegazioni finali relative ad un aumento del 4% del rendimento del dividendo devono probabilmente riflettere le straordinarie azioni di politica monetaria (incluso l’allentamento quantitativo) attuate su scala globale, con rendimenti nominali negativi in un clima di eccessivo risparmio responsabili di aver condotto con sé al ribasso anche i rendimenti obbligazionari reali. E legata a questi eccessi di risparmio osserviamo una domanda straordinaria di certezza da parte dei fondi pensione.  Essendo stati strutturalmente dal lato sbagliato dell’attività azioni/obbligazioni (possedendo troppe azioni rispetto ai loro indici di riferimento legate a rendimenti obbligazionari e inflazione) nel corso degli anni, tagli al rischio da parte dei fondi pensione stanno avendo luogo mentre giungono a termine piani a benefici definiti.  Le obbligazioni indicizzate hanno una domanda strutturale, specialmente nel Regno Unito e nei Paesi Bassi.

Come strumento di trading, il grafico precedente non vi sarebbe servito granché. Forse avreste venduto le azioni all’inizio della scorsa decade, ma per poi ricomprarle quando?   2003?  2009? 2013?  Il mercato ha continuato a toccare delle massime di spread di rendimento grazie all’incessante rally dei gilt indicizzati.  Ma su base di valutazione, preferireste forse il rendimento di dividendo del 3,8% più crescita disponibile sul FTSE 350 piuttosto che quello del -0,8% per anno indicizzato all’inflazione sul gilt indicizzato a 10 anni.

Autore: Jim Leaviss

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